La recentissima pronuncia con la quale il Tribunale del Lavoro di Firenze – in accoglimento del ricorso dei sindacati – ha revocato l’apertura del procedimento del licenziamento collettivo avviato verso i 422 dipendenti dello stabilimento di Campi Bisenzio della GKN, merita un particolare approfondimento perché consente di mettere ancora una volta in evidenza alcuni principi fondamentali del nostro sistema giuslavoristico che coinvolgono interessi e diritti di rilievo costituzionale e svolgere alcune riflessioni sulla situazione che attualmente vive il mercato del lavoro nel nostro Paese.
A questo scopo occorre rimettere alcune considerazioni di base cerca il licenziamento collettivo che – in considerazione della grave crisi economica che attraversa l’Italia, sia a causa del verificarsi della pandemia da COVID-19 sia di alcune distorsioni strutturali del nostro ordinamento – costituisce indubbiamente uno dei temi su cui si è maggiormente dibattuto nelle ultime settimane. Evidente che l’interesse su questo tema sia particolarmente elevato, dato che queste procedure impattano in maniera preponderante sui diritti dei lavoratori e, come tali, necessitino di essere adottate con particolari cautele: queste fattispecie coinvolgono Infatti una moltitudine di lavoratori, hanno un grave impatto economico e sociale sulle persone licenziate e sulle loro famiglie e, inevitabilmente, comportano anche ricadute negative sull’intera zona dove è ubicata l’azienda, specie se è di grandi dimensioni. Ma non solo. La disciplina è alquanto spinosa, tenendo conto che il nostro ordinamento, mentre da un lato riconosce la piena discrezionalità dell’imprenditore rispetto alla decisione di cessare l’attività di impresa (espressione della libertà garantita dall’art. 41 Cost.), dall’altro richiede che questa scelta sia attuata con modalità rispettose dei diritti del lavoratore, dei principi di buona fede e correttezza contrattuale, nonché del ruolo e delle prerogative del sindacato.
Per attenuare queste conseguenze, contemperare i rispettivi diritti ed interessi e, in ogni caso, impedire che il datore di lavoro possa realizzare tagli indiscriminati alla forza produttiva, la legge prevede quindi una rigorosa procedura da seguire, che impone necessariamente il dialogo fra le parti sociali, tanto che deve ritenersi invalida – oltre che nel caso in cui non sia stata adottata la forma scritta o quando l’impresa non si è correttamente attenuta ai criteri di scelta e ha operato discriminazioni – anche quando non sia stata svolta la fase di confronto sindacale e presso l’Ufficio del lavoro.
La violazione di questa disciplina determina dunque di legittimità del licenziamento, che può essere impugnato con ricorso al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro entro 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento. I correlativi rimedi di tutela in favore del lavoratore per le violazioni riscontrate sono graduati per ciascuno dei tre motivi di illegittimità e comportano le conseguenze previste dallo Statuto dei lavoratori, ossia:
• per l’assenza della forma scritta, la piena reintegrazione del lavoratore nel posto e nell’incarico ricoperto prima del licenziamento;
• per la violazione delle procedure, l’indennità sostitutiva stabilita dal giudice tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione percepita;
• per l’inosservanza dei criteri di scelta un’indennità risarcitoria determinata dal Giudice fino al massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale percepita.
Fatte queste doverose premesse sulla disciplina del licenziamento collettivo e tornando alla pronuncia del Tribunale del Lavoro di Firenze, a mio modesto avviso, nel caso della Gkn era piuttosto evidente l’illegittimità della procedura di licenziamento avviata dall’azienda, se solo si consideri che i lavoratori erano stati informati di aver perso il posto via mail e l’azienda aveva rifiutato la prestazione lavorativa dei 422 dipendenti, senza nemmeno aver posto in essere le procedure di consultazione e confronto previste nel CCNL.
Credo sia importante sottolineare che, tenendo conto anche di questi gravi precedenti – che ancora una volta dimostrano inequivocabilmente che l’assenza di dialogo nel mercato del lavoro, così come verosimilmente in ogni ambito della vita, non crea valore – in questi ultimi giorni, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, hanno condiviso un documento mirante al potenziamento degli strumenti di dialogo che possa scongiurare una conclusione di altre importanti crisi aziendali che interessano intere aree produttive del nostro Paese con modalità simili a quelle del caso Gkn. L’obiettivo condiviso dai sottoscrittori del documento è dunque quello di sollecitare il Governo a sostenere concretamente e con misure specifiche, delle politiche attive del lavoro, che consentano il rilancio della funzione delle parti sociali, attraverso il ruolo contrattuale, per favorire la crescita e lo sviluppo dell’occupazione.
Questo è sicuramente un passo nella direzione giusta che, secondo la mia opinione, deve essere quella di cercare di rendere il nostro mercato del lavoro in linea con gli standard europei per offrire ai lavoratori che siano stati coinvolti da procedure collettive, una loro valida ricollocazione.
Questo target – come testimoniano realtà di nazioni a noi limitrofe – può certamente essere raggiunto, ma solo con la definizione non conflittuale dei processi di riorganizzazione aziendale, introducendo un piano di ricollocazione in caso di licenziamenti collettivi fondato su proposte conciliative da parte del datore di lavoro incentivante sul piano fiscale e contributivo.