Responsabilità del datore di lavoro per i danni causati dai suoi dipendenti

 

In quali casi il datore di lavoro è responsabile della condotta dannosa dei suoi dipendenti?

Il datore di lavoro è responsabile dei danni causati dai suoi dipendenti? 

Ci si chiede spesso se il datore di lavoro possa rispondere del comportamento dei propri dipendenti e, in caso di risposta affermativa, a che titolo e in che misura.

Non è raro, infatti, che un lavoratore subordinato, nell’esercizio delle sue mansioni – o anche, semplicemente, durante l’orario di lavoro – tenga delle condotte che danneggiano altri lavoratori, oppure soggetti terzi: si pensi, a titolo esemplificativo, all’operaio che imprudentemente lasci cadere materiali edili da un’impalcatura danneggiando un’automobile parcheggiata, oppure al conducente di un autobus di linea che, compiendo una manovra avventata, investa un passante.

Il nostro ordinamento attribuisce la responsabilità del fatto del dipendente al datore di lavoro

 

 In generale, il nostro ordinamento – riprendendo un principio giuridico ben più antico – consente di attribuire la responsabilità del fatto del dipendente in capo al datore di lavoro. La ragione di questa scelta è duplice: da un lato, è il datore di lavoro che assume il rischio d’impresa e dunque deve farsi carico anche di ristorare i pregiudizi causati da chi sta agendo nel suo interesse e per suo conto; dall’altro, è frequente che il lavoratore dipendente non abbia la capacità patrimoniale per risarcire integralmente il danno causato, per cui – in difetto di questo principio giuridico – il danneggiato si troverebbe sprovvisto di tutele.

Cosa prevede la normativa sulla responsabilità datoriale?

Questa regola è consacrata nell’art. 2049 c.c. che – con un lessico ormai superato – definisce la responsabilità dei “padroni e committenti”. La norma – che in realtà si applica in tutti i casi in cui c’è un rapporto di preposizione fra due soggetti, ove il rapporto di lavoro subordinato ne è il caso più frequente ed evidente – prevede un caso di responsabilità indiretta, per fatto altrui, e oggettiva, in quanto il preponente risponde di un fatto illecito che non ha commesso direttamente, e non è ammesso a provare la sua mancanza di colpa o il caso fortuito, né di non aver potuto impedire il fatto, come accade per altre ipotesi speciali di responsabilità.

Questa disposizione ha un campo applicativo molto vasto: non solo poiché disciplina, come accennato, anche ipotesi diverse ed ulteriori rispetto al lavoro subordinato, ma anche perché, grazie al suo meccanismo di funzionamento, permette di:

  • prescindere dalla colpa o dal dolo del datore di lavoro;
  • prescindere dal rapporto causale fra mansione svolta e danno arrecato.

Quanto al primo profilo, non v’è dubbio che sul datore di lavoro grava una responsabilità c.d. oggettiva. Quest’ultimo, infatti, risponde del fatto dannoso del dipendente non perché abbia omesso di sorvegliarlo, oppure perché abbia scelto un lavoratore non idoneo allo svolgimento di una certa attività (come ritenuto in passato), ma solo per il fatto che tra i due soggetti c’è un rapporto di lavoro: ciò implica che il datore di lavoro non può liberarsi dalla propria responsabilità solo perché, nella specifica ipotesi, dimostri di non avere colpe.

È invece dibattuto se la presenza di un caso fortuito, ossia del verificarsi di un fatto assolutamente imprevisto e imprevedibile, possa rendere il datore esente da responsabilità.

Quali sono le conseguenze?

La conseguenza più rilevante della natura oggettiva di questo tipo di responsabilità – come chiarito dalla giurisprudenza – è rappresentata dal fatto che, qualora il datore di lavoro subisca un procedimento penale per l’evento dannoso e venga prosciolto, molto probabilmente potrebbe comunque dover rispondere in ambito civile e, dunque, essere tenuto in ogni caso a risarcire integralmente il danno.

 

In quali casi si applica questa norma sulla responsabilità datoriale? 

Quanto invece al nesso di causalità fra mansione svolta e danno, non è necessario che quest’ultimo venga causato in diretta conseguenza dello svolgimento della mansione. In altre parole, non occorre che il danno sia il risultato dello svolgimento della mansione, ma è sufficiente che sia stato causato in occasione del suo svolgimento.

La norma si applica, quindi, ogni volta che la mansione ha agevolato o reso possibile la condotta dannosa, escludendosi solo i casi in cui il danno sia conseguenza di un comportamento assolutamente estraneo alla mansione svolta.

 

Presupposti necessari

 

Perché possa ritenersi integrata la responsabilità del preponente occorrono tre presupposti:

  • il fatto illecito del preposto: il preposto, cioè, deve commettere il fatto con colpa o dolo (in quest’ultimo caso sempre però che questi abbia agito nell’ambito delle mansioni affidategli); deve trattarsi di un fatto oggettivamente illecito che, se non esistesse il rapporto di preposizione, sarebbe imputato solo al danneggiante. Il preponente non è responsabile, quindi, di fatti commessi dal preposto in presenza di cause di giustificazione, oppure senza colpa;
  • il rapporto di preposizione: tra i due soggetti, cioè, deve esistere un vincolo di subordinazione, nonché un potere di direzione e vigilanza sull’attività del preposto. Anche qui parte della dottrina lamenta l’eccessiva larghezza con cui la giurisprudenza intende il rapporto di preposizione;
  • il nesso di causalità tra incombenze affidate e danno arrecato: il preposto, cioè, deve compiere il fatto dannoso in adempimento dell’incarico affidato al preponente. Ciò non significa che il commesso deve causare il danno perché gli è stata affidata quella particolare incombenza, ma che il danno sia comunque stato causato in occasione di essa: si parla, infatti, di un nesso di occasionalità necessaria, nel senso che se al commesso non fossero state affidate quelle mansioni, costui non sarebbe stato in grado di provocare il danno (ex plurimis, Cass. 7403/2013-789/2012).

  

  • Cosa fare in caso di danno causato dal lavoratore subordinato?

     

  • Se si ritiene di aver subito un pregiudizio a causa del comportamento di un collega sul luogo di lavoro, o semplicemente a causa della condotta di un lavoratore subordinato nello svolgimento delle mansioni, è opportuno – prima di formulare una richiesta risarcitoria al datore di lavoro – consultare un legale esperto in materia di diritto del lavoro e di risarcimento del danno. 

    Il supporto di quest’ultimo consente infatti di verificare non solo la sussistenza di tutti i presupposti per configurare la responsabilità del datore di lavoro, ma anche la possibilità di accertare l’evento dannoso. Infatti, anche se – come visto – la responsabilità del datore di lavoro è oggettiva, affinché si ottenga il risarcimento è necessario dimostrare che il danno subito sia stato causato da un determinato soggetto, secondo i principi generali fissati dal codice civile in via generale e con riferimento a specifiche ipotesi.

    Inoltre, sia che il pregiudizio subito abbia natura prettamente patrimoniale, sia che consista in un danno non patrimoniale – come, ad esempio, un danno alla salute o un danno morale – l’attività di un legale esperto, se necessario con la collaborazione di altri professionisti, consente di quantificare economicamente il pregiudizio stesso in modo preciso e analitico, affinché richiesta di risarcimento non risulti avventata, ma fondata e circostanziata.

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