Licenziamento per Giusta Causa Solo a Determinate Condizioni
Licenziamento Per giusta Causa Possibile solo a determinate condizioni
Con la recente ordinanza n. 5588 del 1° marzo 2024, la Corte di Cassazione Sezione Lavoro ha affermato l’illiceità di un licenziamento disciplinare, ordinando alla società datrice di lavoro la reintegrazione del dipendente e condannandola al pagamento di un’indennità commisurata alla retribuzione mensile dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegra.
Che cos’è il licenziamento per giusta causa?
Il licenziamento disciplinare è una tipologia di recesso dal rapporto di lavoro dovuto ad un “notevole inadempimento” degli obblighi contrattuali o ad un comportamento del lavoratore gravemente rilevante sul piano disciplinare.
La vicenda
Nella vicenda sottoposta all’attenzione della Suprema Corte, il lavoratore aveva ricevuto un provvedimento di licenziamento per giusta causa all’esito di un procedimento disciplinare.
In particolare, al lavoratore era stato contestato di essersi assentato per una giornata dal lavoro, al fine di prestare assistenza alla figlia malata (presentando una certificazione medica ed ottenendo un permesso retribuito ai sensi dell’art. 4 legge n. 53/2000). Tuttavia, il dipendente – ottenuta rassicurazione dal medico e affidata la figlia al nonno, ma ormai fuori dall’orario del permesso – si era recato ad una manifestazione.
Prima di entrare nel merito della vicenda, la Corte ha richiamato i principi generali in tema di licenziamento per giusta causa.
Tale provvedimento può essere disposto dal datore di lavoro nel caso in cui il lavoratore realizzi comportamenti disciplinarmente rilevanti di gravità tale da non consentire – neanche in via provvisoria – la prosecuzione del rapporto di lavoro, come previsto dall’art. 2119 c.c.
In altre parole, la giusta causa si sostanzia in un inadempimento talmente grave che qualsiasi altra sanzione diversa dal licenziamento risulta insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro (Cass. 24/7/03, n. 11516).
A fronte della violazione delle disposizioni di legge sul licenziamento disciplinare, anche per giusta causa, risultano applicabili diversi regimi di tutela, rinnovati con l’entrata in vigore del d.lgs. 23/2015.
Cosa Succede se non ci sono gli estremi della giusta causa?
In particolare – ricorrendo il requisito dimensionale – qualora non vi siano gli estremi della giusta causa in ragione dell’insussistenza del fatto contestato o perché il fatto rientra fra le condotte punibili con una sanzione conservativa, è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro e il pagamento al lavoratore di un indennizzo (entro il limite massimo di 12 mensilità retributive), oltre che del versamento dei contributi previdenziali per tutto il periodo intercorrente dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione: si parla della c.d. tutela reale attenuata.
Nelle altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi della giusta causa addotta dal datore di lavoro, invece, il giudice applica la c.d. tutela obbligatoria standard, ossia condanna il datore al pagamento di un’indennità risarcitoria in una misura compresa fra 12 e 24 mensilità della retribuzione globale di fatto.
La nuova ordinanza sul licenziamento per giusta causa
La Cassazione, nell’ambito di tale quadro normativo, con ordinanza n. 5588 del 1° marzo 2024 ha confermato la sentenza di merito, rigettando il ricorso della società datrice di lavoro.
Nel confermare la pronuncia, la Cassazione ha premesso che, nei casi di licenziamento per giusta causa, risulta necessario che il Giudice compia un giudizio di gravità e proporzionalità della condotta del lavoratore.
Occorre infatti avendo riguardo agli elementi concreti, di natura sia oggettiva che soggettiva, essendo precluso al datore di lavoro di irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal CCNL applicato al rapporto in relazione ad una determinata infrazione.
Cosa afferma la corte sul licenziamento per giusta causa?
Nello specifico la Suprema Corte prosegue il proprio percorso argomentativo affermando che: “la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario verificata la concretizzazione della giusta causa di licenziamento quale clausola generale, anche in riferimento al requisito di proporzionalità, che esige valutazione non astratta dell’addebito, ma attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento sistematico ed unitario della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assumendosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni e alla tipologia del rapporto medesimo”. Ciò che rileva, quindi è la concretezza, soggetta a valutazione del giudice, con la quale deve essere identificata la reale e oggettiva giusta causa in caso di licenziamento disciplinare.
Applicati tali principi nel caso di specie e valutate sia la gravità ipsa del fatto compiuto dal lavoratore sia la proporzionalità fra quest’ultimo e la sanzione irrogata, La Corte di Cassazione ha rilevato che il licenziamento sub iudice risultava illegittimo in quanto totalmente sproporzionato rispetto al fatto contestato.
Di conseguenza, la società soccombente è stata condannata alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità, commisurata alla retribuzione mensile non corrisposta al lavoratore dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegra.
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