Licenziata per Aver Rifiutato il trasferimento: Il licenziamento è Nullo Se Il Trasferimento  Ritorsivo 

 

Rifiuta il Trasferimento e viene licenziata, Per Il tribunale di Bologna il licenziamento è nullo

Di recente, la Sezione Lavoro del Tribunale di Bologna ha avuto modo di pronunciarsi in merito a un caso di licenziamento ritorsivo, dichiarandone la nullità in applicazione degli ormai consolidati principi della Corte di Cassazione.

In particolare, la lavoratrice, assistita dal nostro studio, è stata licenziata per aver rifiutato di essere trasferita in una sede lontana oltre 250 chilometri dall’unità locale in cui prestava attività. 

Il Giudice, tuttavia, ha accertato che il provvedimento di trasferimento era privo di una effettiva motivazione lecita, essendo piuttosto legato a ragioni punitive, oltre che privo dei requisiti formali. Di conseguenza, è stata accertata anche la nullità del successivo licenziamento e la società ex datrice di lavoro è stata condannata al risarcimento del danno pari a tutte le mensilità retributive spettanti alla lavoratrice dalla data del licenziamento sino al termine del contratto.

 

Il caso

Il caso di licenziamento illegittimo sottoposto all’attenzione del Tribunale di Bologna trae origine da una vicenda più complessa e articolata.

La lavoratrice, infatti, addetta al noleggio di autoveicoli, nel 2023 ha ricevuto una contestazione disciplinare, basata su fatti infondati e quindi prontamente contestata da quest’ultima. La società, ricevute le giustificazioni della dipendente, ha espressamente deciso di archiviare il procedimento disciplinare, ma allo stesso tempo ha comunicato alla lavoratrice che la stessa sarebbe stata trasferita dalla sede di Calderara di Reno (BO) a quella di Milano.

Tuttavia, il provvedimento di trasferimento era basato su motivazioni generiche e non era mai stato formalizzato come previsto dalla legge, per cui è stato contestato espressamente dalla lavoratrice. Alcuni giorni dopo, noncurante dei rilievi operati da quest’ultima, la società ha inviato alla dipendente una comunicazione di licenziamento in cui, da un lato, si faceva seguito al procedimento disciplinare, dall’altro si faceva riferimento al rifiuto di riprendere l’attività lavorativa presso la sede di nuova assegnazione.

La lavoratrice, rivoltasi al nostro studio, ha dunque deciso di agire in giudizio impugnando il licenziamento, contestandone la ritorsività, l’infondatezza e l’illegittimità dei presupposti di fatto su cui il provvedimento era fondato, chiedendo pertanto la condanna della ex datrice di lavoro al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni che avrebbe percepito fino alla scadenza del contratto a tempo determinato.

 

 

La sentenza

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso, accertando i plurimi profili di illegittimità di entrambi i provvedimenti datoriali come evidenziati dalla difesa della lavoratrice. 

In particolare, nel corso del giudizio è emerso che il provvedimento di trasferimento, da un punto di vista formale, non era mai stato adeguatamente comunicato alla lavoratrice e che, comunque, era in violazione del termine di preavviso previsto dal contratto collettivo.

Ma non solo: il Giudice del lavoro ha sottolineato come la società non avesse dimostrato l’esistenza di alcuna valida motivazione per trasferire la dipendente, conformemente alle previsioni dell’art. 2103 c.c., ciò confermando “il carattere vessatorio e ritorsivo della richiesta di trasferimento”. 

Il licenziamento è quindi da considerarsi nullo, sia perché il rifiuto della lavoratrice a trasferirsi è stato legittimo, sia perché il provvedimento espulsivo – allo stesso modo del trasferimento – pare caratterizzato da un “evidente intento punitivo e ritorsivo della Società”.

Ciò è comunque dimostrato dalla correlazione di entrambi i provvedimenti “ad un procedimento disciplinare già conclusosi senza conseguenza sanzionatoria alcuna per la lavoratrice”. 

Difatti, in conformità all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, una volta che il procedimento disciplinare si conclude con un’espressa archiviazione non può essere in alcun modo riaperto, né utilizzato a fini di recidiva.

Quanto alle conseguenze sanzionatorie per il licenziamento illegittimo a carico della società, trattandosi di lavoratrice assunta a tempo determinato, la ex datrice di lavoro è stata condannata al pagamento delle mensilità retributive che sarebbero maturate dal momento del licenziamento fino al termine del contratto, pari a quattro. 

Le retribuzioni ancora da maturare, infatti, costituiscono il massimo importo ottenibile in caso di recesso anticipato del datore di lavoro dal contratto a termine. 

Qualora invece la lavoratrice fosse invece stata assunta a tempo indeterminato, in un caso analogo, avrebbe avuto diritto ad una tutela maggiormente satisfattiva: avrebbe potuto optare fra reintegra e indennità sostitutiva (pari a 15 mensilità), oltre che ottenere in ogni caso il risarcimento del danno, in misura fino a 12 mensilità.

 

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motivazioni sentenza infortunio sul lavoro fuori dall'orario lavorativo nell'alloggio fornito dal datore di lavoro
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