Cosa Cambia Con LA Nuova Sentenza DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULLE TUTELE IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO
Breve escursus delle normative sul licenziamento illegittimo
Il tema dei rimedi attribuiti dalla legge al lavoratore oggetto di un licenziamento illegittimo ha una storia complessa e articolata.
Se, infatti, in origine, sia datore di lavoro che lavoratore potevano recedere in qualsiasi momento dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la presa di coscienza della disparità di potere contrattuale esistente le due parti – e, soprattutto, della gravità delle conseguenze del licenziamento illegittimo per il lavoratore – hanno condotto il legislatore dapprima a stabilire delle precise condizioni per poter legittimamente licenziare i dipendenti (con la legge n. 604 del 1966), poi a prevedere un sistema di tutele in caso di licenziamento illegittimo.
Il noto art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300 del 1970), sulla scorta di una mutata sensibilità politica sempre più attenta al rispetto dei diritti sociali, ha infatti introdotto la c.d. “tutela forte” o “tutela reintegratoria”, che consente al lavoratore ingiustamente estromesso, in sostanza, di riavere il proprio posto di lavoro oltre al risarcimento del danno.
Cosa è cambiato col Jobs Act?
Le trasformazioni della società, che inevitabilmente hanno riguardato anche il mercato del lavoro, unitamente alla spinta delle politiche dell’Unione Europea improntate ad una maggiore “flessibilità”, hanno comportato una profonda modifica del sistema delle tutele a fronte dei licenziamenti illegittimi.
Il c.d. Jobs Act (D.Lgs. 23/2015) ha, di fatto, smontato l’art. 18, introducendo una forma di tutela meramente economica (versamento di un’indennità commisurata all’anzianità professionali) e lasciando la tutela reintegratoria operativa solo nei casi più gravi, quali ad esempio il licenziamento discriminatorio, intimato in forma orale o della lavoratrice in maternità.
Pronunce della corte Costituzionale sul Jobs Act
La Corte Costituzionale, che già in passato aveva dichiarato in parte illegittima questa disciplina (sent. 194/2018) è di recente tornata sul punto, con una pronuncia – destinata a far discutere – che modifica notevolmente il sistema dei rimedi per il licenziamento illegittimo. Con la sentenza
n. 22/2024, i Giudici Costituzionali hanno infatti notevolmente allargato le ipotesi di applicazione della tutela reintegratoria.
Il c.d. Jobs Act (D.Lgs. 23/2015) ha, di fatto, smontato l’art. 18, introducendo una forma di tutela meramente economica (versamento di un’indennità commisurata all’anzianità professionali) e lasciando la tutela reintegratoria operativa solo nei casi più gravi, quali ad esempio il licenziamento discriminatorio, intimato in forma orale o della lavoratrice in maternità.
Nello specifico, l’art. 2 del D.Lgs. 23/2015 prevedeva – come già anticipato- la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro nei soli casi di:
- a) licenziamento discriminatorio;
- b) licenziamento espressamente previsto dalla legge come nullo.
La tutela economica si applicava, quindi, anche nei casi di licenziamento intimato in violazione di una norma di legge imperativa: in altre parole, in tutti i casi in cui l’invalidità del licenziamento deriva dal mancato rispetto di una norma particolarmente importante per la tutela dei lavoratori che, tuttavia, non esplicita le conseguenze della violazione.
Nel caso oggetto della pronuncia, in particolare, un’azienda tramviaria aveva omesso di istituire il consiglio di disciplina previsto dalla legge per garantire il diritto di difesa dei dipendenti. Tale omissione rappresenta la violazione di una norma imperativa da cui deriva la nullità (non espressa) del licenziamento e, pertanto, i giudici di merito avevano inizialmente disposto l’applicazione della tutela economica.
Cosa cambia con la nuova sentenza della Corte Costituzionale sul Licenziamento Illegittimo?
La questione è giunta dinanzi alla Corte Costituzionale che, con la sentenza 22/204, ha rilevato come la legge delega (con la quale il Parlamento ha conferito al governo il potere di emanare il c.d. Jobs Act) non faceva alcuna distinzione fra nullità espresse e nullità non espresse del licenziamento e che, pertanto, la decisione del governo di limitare la tutela forte al licenziamento espressamente nullo è irragionevole ed illegittima.
I Giudici hanno quindi rimosso la parola “espressamente” dall’art. 2 del D.Lgs. 23/2015, così concretamente eliminando ogni discrimine, quanto ai rimedi, fra licenziamenti sanzionati con la nullità espressa e licenziamenti illegittimi perché irrogati in violazione di un divieto previsto dalla legge.
Pertanto, ogni qual volta un licenziamento non è qualificato come nullo, ma è stato intimato violando una norma di legge imperativa – come quella applicata nella fattispecie sottoposta all’attenzione dei giudici, che prevedeva l’obbligo di istituire il consiglio di disciplina – allora il lavoratore avrà diritto ad essere reintegrato nel proprio posto di lavoro, oltre a ottenere risarcimento del danno quantificato secondo i criteri di legge.
I Giudici hanno quindi rimosso la parola “espressamente” dall’art. 2 del D.Lgs. 23/2015, così concretamente eliminando ogni discrimine, quanto ai rimedi, fra licenziamenti sanzionati con la nullità espressa e licenziamenti illegittimi perché irrogati in violazione di un divieto previsto dalla legge.
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