Nuovi Interventi della Corte Costituzionale Sul Licenziamento Illegittimo
Con le recenti pronunce della Corte Costituzionale nn. 128 e 129 del 2024, il criticato impianto delle tutele rispetto ai casi di licenziamento illegittimo introdotto nel 2105 con il cd. “jobs act” (d.lgs. 23/2015) è stato ulteriormente modificato in senso favorevole ai lavoratori.
Le due pronunce si collocano in un corposo filone giurisprudenziale della Corte, la quale, sin dalla celebre sentenza n. 194/2018 – che ha modificato i criteri per il calcolo dell’indennità in caso di licenziamento illegittimo – è più volte intervenuta sulla materia, evidenziando vari profili di illegittimità costituzionale della disciplina introdotta nel 2015.
IL LAVORO DELLA CORTE IN TEMA DI LICENZIAMENTI ILLEGITTIMI NEL 2024
In particolare, nel febbraio di quest’anno, con la sentenza n. 22/2024 di cui abbiamo trattato in un precedente articolo i Giudici hanno esteso l’applicabilità dell’art. 18 (e dunque della tutela reintegratoria) ai casi di licenziamento affetto da nullità c.d. “virtuale”, ovverosia le ipotesi in cui, seppur la legge non sanziona espressamente con la nullità il provvedimento espulsivo, lo stesso è in violazione di una norma imperativa.
A seguito di questa pronuncia, sono state portate all’attenzione dei Giudici costituzionali ulteriori questioni relative alla compatibilità fra le norme del jobs act e i precetti fondamentali del nostro ordinamento e, nello specifico:
- la disparità di trattamento fra licenziamento disciplinare per un fatto materialmente insussistente (sanzionato con la reintegra) e licenziamento per giustificato motivo oggettivo in realtà insussistente (sanzionato con la tutela economica), questione rimessa alla Corte dal Tribunale di Ravenna;
- la disparità di trattamento fra licenziamento disciplinare per un fatto materialmente insussistente (sanzionato con la reintegra) e licenziamento disciplinare per un comportamento punibile solo con sanzione conservativa (per cui è prevista la tutela economica), questione rimessa alla Corte dal Tribunale di Catania.
LA SENT. 128/2024
Con riferimento alla prima ipotesi, la Corte Costituzionale ha accolto le censure sollevate dal Tribunale di Ravenna, dichiarando l’illegittimità costituzionale del jobs act nella previsione della tutela meramente economica nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la cui insussistenza è accertata in giudizio.
Pertanto, fermo restando il divieto per il giudice di entrare nel merito delle scelte aziendali, qualora il licenziamento venga intimato per motivazioni di carattere organizzativo e/o economico, di cui tuttavia emerga l’insussistenza materiale nel corso del giudizio, il lavoratore licenziato ha diritto alla reintegra (o all’indennità sostitutiva) e al risarcimento del danno, come previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (L. 200/1970).
Tale previsione, in precedenza, veniva riservata (oltre che ad ipotesi particolarmente gravi) ai casi di licenziamento disciplinare irrogato quale sanzione a fronte di una condotta in realtà insussistente.
Nel proprio percorso argomentativo, la Corte Costituzionale – fra le altre osservazioni – ha infatti rilevato come la differenza fra le due discipline consentisse al datore di lavoro che intende illecitamente intimare un licenziamento per un fatto insussistente di qualificarlo liberamente come giustificato motivo oggettivo o come giustificato motivo soggettivo (oppure giusta causa), ciò comportando diversi trattamenti sanzionatori.
Pertanto, attualmente la disciplina in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo insussistente e licenziamento disciplinare a fronte di una condotta insussistente è analoga e prevede la tutela reintegratoria.
Tuttavia, la stessa non si applica qualora la motivazione oggettiva addotta quale ragione del licenziamento sia sì sussistente, ma non sia stato adempiuto l’obbligo di c.d. repechage, ovvero il tentativo di ricollocamento del lavoratore licenziando in una diversa posizione lavorativa. In tale ipotesi, permane la tutela meramente economica.
LA SENT. 129/2024
Pur respingendo le censure di incostituzionalità avanzate dal Tribunale di Catania, anche con la successiva sentenza la Corte Costituzionale ha demolito una parte di jobs act, attraverso una interpretazione c.d. “adeguatrice” della norma assunta illegittima.
In particolare, non è possibile estendere la tutela reintegratoria in tutti i casi in cui il licenziamento disciplinare appaia sproporzionato rispetto alla condotta addebitata al lavoratore e accertata, affermando la Corte che in tali ipotesi il sistema sanzionatorio economico è dotato di sufficiente “adeguatezza” e “dissuasività”.
Tuttavia, se ciò vale in presenza di una clausola generale nel CCNL (cioè quando il testo negoziale preveda il riferimento generico all’obbligo di proporzionalità tra fatto contestato e sanzione), diverso è il caso in cui la fonte collettiva riconduca espressamente e specificamente un dato comportamento a una sanzione solo conservativa. In siffatta ipotesi, afferma la Corte, al fine di non “incrinare il tradizionale ruolo di quest’ultima [la contrattazione collettiva] nella disciplina del rapporto”, si deve ritenere applicabile la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
In definitiva, l’intervento della Corte Costituzionale si rivela ancora una volta prezioso affinché il diritto del lavoro – per quanto costituisca una branca giuridica che va incontro a continue modifiche dettate dalle contingenze economiche e dalle inclinazioni politiche – sia in ogni caso rispettoso dei canoni fondamentali del nostro ordinamento, primo fra tutti il principio di eguaglianza.
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