La cassazione Conferma Il Diritto a Svolgere Attività Ricreative Durante La Malattia
LICENZIAMENTO PER MALATTIA: LE PECULIARTÀ NEL CASO DI DEPRESSIONE
I temi del licenziamento e della malattia presentano una costante connessione nell’ambito del rapporto di lavoro. Il perdurare della malattia, oppure il mancato rispetto degli obblighi riconnessi alla fruizione di tale istituto giuridico da parte del prestatore, infatti, possono condurre il datore di lavoro a recedere dal rapporto nelle ipotesi previste dalla legge, che sono da contemperarsi con i principi della giurisprudenza in materia, in costante evoluzione.
Di recente, infatti, la Corte Suprema di Cassazione ha affrontato, in merito, un caso particolare, pronunciandosi riguardo un licenziamento per svolgimento di attività ricreative durante un’assenza per malattia legata ad uno stato depressivo del dipendente.
La legge considera la depressione una malattia
È ormai pacifico che l’ordinamento riconosce diverse cause giustificative validamente poste alla base della fruizione della malattia da parte del dipendente, sia di natura fisica che psicologica, purché queste ne determinino l’incapacità temporanea al lavoro nella mansione specifica.
In particolare, la depressione viene regolarmente considerata una malattia e, come tale, quando viene diagnosticata dal medico e giudicata un ostacolo per le attività lavorative, implica il riconoscimento in favore del lavoratore delle stesse garanzie previste per altre patologie, garantendo a quest’ultimo il diritto all’astensione dal lavoro con mantenimento della retribuzione.
A livello normativo, l’inosservanza delle prescrizioni in materia di malattia potrebbe, in presenza di determinate condizioni, comportare anche la perdita dell’indennità di malattia o addirittura il licenziamento per giusta causa.
Nel caso di specie, al dipendente è stata comminata la sanzione del licenziamento disciplinare, in quanto, nel corso di due giornate in cui il lavoratore ha richiesto di fruire di permessi, lo stesso si è dedicato ad attività personali prestando assistenza al padre, non rispettando le fasce di reperibilità per le visite fiscali e, infine, si è dedicato ad altra attività lavorativa operando come cantante/musicista di piano bar.
Le pronunce di Primo e Secondo Grado
Sulla questione, a seguito dell’impugnazione del licenziamento irrogato al dipendente, le Corti di primo e secondo grado si sono in pronunciate ponendo in rilievo diverse questioni.
In quali casi si può essere licenziati per mancata reperibilità?
Innanzitutto, alla luce di quanto previsto nel CCNL applicato al rapporto di lavoro, nei casi di inosservanza delle fasce di reperibilità è legittima l’applicazione della sanzione espulsiva, ma solo qualora l’assenza arbitraria sia superiore a cinque giorni, altrimenti la condotta è punibile esclusivamente con una sanzione conservativa.
La particolarità della depressione
Proprio alla luce della specifica patologia del dipendente e avendo riguardo agli strumenti di guarigione di quest’ultima, l’impegno in attività ricreative non ha configurato in sé un comportamento incompatibile con la dichiarata condizione depressiva, ma, al contrario, ha potuto giovare alla sua guarigione, come sostenuto dai giudici di merito.
Infine, è da tener presente che anche la violazione dell’obbligo di richiedere l’autorizzazione per svolgere un’altra attività lavorativa, per una sola giornata, non risulta punibile con la sanzione più grave (quale il licenziamento), ma anche in tal caso esclusivamente con una sanzione conservativa.
La società datrice di lavoro non ha condiviso i principi espressi dai giudici di merito, decidendo di ricorrere in Cassazione per vedersi accertata la legittimità del licenziamento.
Cosa dice l’ordinanza sul licenziamento e la depressione?
La Cassazione, con l’ordinanza n. 30722/2024, nel confermare la pronuncia di merito, rileva un’importante distinzione ai fini della possibilità di irrogare una sanzione disciplinare a seguito di un comportamento normalmente considerato illecito.
Secondo la Suprema Corte, infatti, una condotta come quella tenuta dal dipendente nel caso in esame può avere valenza disciplinare solamente se ha per oggetto un comportamento che, in qualche modo, possa compromettere la guarigione del lavoratore.
In relazione a ciò, risulta necessario considerare, prosegue la Corte, che l’impegno in attività ricreative non rappresenta un contegno pregiudizievole rispetto alla guarigione della patologia depressiva di cui era affetto il dipendente. È stato inoltre puntualizzato come, in ogni caso, è onere del datore di lavoro dimostrare l’incompatibilità dell’attività svolta con la ripresa psico-fisica.
I Giudici di legittimità, quindi, nel confermare la sentenza di merito, sanciscono un’importante novità in tema di malattia, prevedendo la possibilità di svolgere attività personali e ricreative – e anche lavorative ove ciò sia coerente ai principi espressi, oltre che autorizzata dal datore di lavoro – compatibili con un potenziale miglioramento delle condizioni disabilitanti dovute allo stato di depressione.
Peraltro, la Suprema Corte già diversi mesi prima aveva parzialmente affrontato il tema: con l’ordinanza 5588/2024, infatti, è stato affermato un principio analogo in relazione ad un caso di svolgimento, da parte di un dipendente – in occasione di un permesso di assenza per una giornata di lavoro ottenuto al fine di assistere la figlia malata – anche di altre attività al di fuori di quella oggetto dell’autorizzazione, quali una manifestazione sindacale.
Anche in questo caso, il Giudice ha ravvisato una violazione del principio di proporzionalità per mancata considerazione dell’oggettiva gravità fattuale del comportamento contestato, il quale poteva sì essere oggetto di una sanzione disciplinare, ma non certo di quella più grave, quale la cessazione del rapporto di lavoro.
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