Diritto Al Riposo e Orari Di Lavoro, Cosa Dice La Legge? 

Diritto Al Riposo del Lavoratore

In un’epoca contrassegnata dalla flessibilità della prestazione lavorativa, nata e accentuatasi nell’ultimo ventennio per favorire la competitività delle imprese e lo sviluppo occupazionale, il diritto del lavoro ha la funzione di regolamentare l’orario di lavoro, riconoscendo e tutelando il diritto al riposo. Vi è sempre stata la necessità di riequilibrare il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, anche in tema di orario di lavoro: tali conquiste fondamentali affondano le loro radici nei movimenti operai dell’Ottocento e si sono consolidate nel tempo, attraverso leggi nazionali e normative sovranazionali.

Che cos’è il Diritto Al Riposo? 

Il diritto al riposo non è solo una pausa fisica, ma rappresenta una tutela della salute psico-fisica del lavoratore e, più in generale, un’espressione della dignità umana. Il riposo garantisce la possibilità di vivere una vita equilibrata, con tempo libero da dedicare alla famiglia, alla socialità, alla crescita personale e al recupero delle energie. Il principio di proporzionalità tra lavoro e riposo è quindi parte integrante del modello europeo di tutela del lavoro, e trova fondamento anche nella Costituzione italiana, in particolare nell’art. 36, che recita:
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.
Il nostro ordinamento specifica le modalità di concreta attuazione del diritto al riposo, prevedendo una disciplina legale in materia di orario di lavoro – inderogabile in pejus salvo eccezioni – e un sistema sanzionatorio applicabile in caso di violazioni.

Cosa dice la normativa italiana sul diritto al riposo?

In Italia, la disciplina dell’orario di lavoro è principalmente contenuta nel D.lgs. 66/2003, che recepisce la direttiva europea 2003/88/CE. Essa stabilisce alcuni principi cardine:
  • Durata massima settimanale:Il comma 1 dell’art. 3, dispone che “L’orario ordinario è fissato a 40 ore settimanali, che rappresentano la settimana lavorativa standard, salvo eccezioni o accordi differenti. 
Tuttavia, il comma 2 prevede che “I contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore…”, rispettando il principio tradizionale dell’inderogabilità in pejus, che vieta di introdurre condizioni peggiorative rispetto a quanto stabilito dalla legge, a tutela dei diritti del lavoratore.
  • L’art. 4 invece stabilisce un limite massimo di 48 ore settimanali, comprensive di straordinari, quale durata media su un periodo di 7 giorni. Anche in tal caso, seppur i contratti collettivi possano prevedere diverse modalità di computo, il tetto di 48 ore settimanali non può essere superato in nessun modo, nemmeno attraverso accordi collettivi in deroga.
  • Riposo giornaliero: l’art. 7 stabilisce che il lavoratore “ha diritto a 11 ore di riposo consecutive ogni 24 ore”. In sostanza, tra la fine di un turno di lavoro e l’inizio del successivo, deve esserci un periodo di almeno 11 ore di riposo ininterrotto: sebbene dunque non esista un limite massimo di ore di lavoro giornaliere, la presenza inderogabile di tale intervallo di riposo implica, indirettamente, che la prestazione di lavoro non può svolgersi per più di 13 ore al giorno.
  • Riposo settimanale: l’art 9 prevede che ogni 7 giorni deve essere garantito un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, generalmente coincidente con la domenica, da cumulare con il riposo giornaliero. Pertanto, tenendo conto sia delle 11 ore di riposo giornaliero e delle 24 ore di riposo settimanale – entrambe consecutive – si ottiene un totale di 35 ore di riposo ogni settimana.
  Le previsioni di legge appena illustrate sono inderogabili, salvo eccezioni specifiche (es. lavoro su turni, servizi essenziali, particolari esigenze produttive), e sono spesso integrate dalla contrattazione collettiva, nei limiti già esposti.

Che cos’è il Lavoro Straordinario?

Si definisce straordinario il lavoro che eccede l’orario normale settimanale, pari a 40 ore come sancito dall’art. 3, c.1 del D. Lgs. n. 66/2003. Il medesimo decreto legislativo stabilisce che il lavoro straordinario deve essere eccezionale e non abituale, prevedendo una compensazione economica maggiorata o il riposo compensativo. Gli straordinari non possono superare le 48 ore settimanali, inclusi i normali orari di lavoro, salvo eccezioni previste dai contratti collettivi. Inoltre, il lavoro straordinario è, in generale, volontario, e il lavoratore non può essere obbligato a prestarlo in quanto ai sensi dell’art. 5 del predetto Decreto:
il ricorso al lavoro straordinario è ammesso soltanto previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le duecentocinquanta ore annuali
Tuttavia, gli esposti limiti hanno una portata relativa, poiché possono essere derogati, anche in pejus, dai contratti collettivi: essi valgono, infatti, “in difetto di disciplina collettiva applicabile” (art. 5, c. 3).

Quale è la sanzione per il mancato rispetto del diritto al riposo?

Se il datore di lavoro adibisce i propri prestatori a turni orari non rispettosi delle 11 ore di riposo giornaliero o delle 24 ore di riposo settimanali (art. 9 del D.lgs. 66/2003), commette un illecito amministrativo, punti con sanzione pecuniaria (art.18 bis, c.3 e 4), che ammonta a:
  • da 100 a 750 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun periodo di riferimento (giorno o settimana); 
  • da 400 a 1.500 euro per ciascun lavoratore coinvolto, in caso di violazione protratta per più di 5 giorni.

Cosa succede se gli straordinari non vengono retribuiti? O sono eccessivi? 

Se il lavoratore è impiegato oltre il limite massimo delle 48 ore medie settimanali, o se non riceve la specifica retribuzione a fronte di attività lavorativa prestata oltre le 40 ore settimanali:
  • il lavoratore ha diritto di ottenere il pagamento degli straordinari, comprensivi di interessi legali e maggiorazioni contrattuali;
  • in alcuni casi e al ricorrere di determinati presupposti, può trovare spazio anche il risarcimento per danni da stress lavorativo o da mancato rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza.
In siffatte ipotesi, la sanzione pecuniaria oscilla dai 25 ai 154 euro, ma può arrivare sino a 1032 euro se la violazione riguarda più di cinque lavoratori o più di cinquanta giornate lavorative annuali (art. 18 bis, c. 6). Ma vi è di più. Infatti, la mancanza di riposo può compromettere la sicurezza sul lavoro, aumentando il rischio di infortuni a causa della ridotta lucidità del lavoratore. Ne consegue che, in caso di incidenti, può configurarsi una responsabilità del datore di lavoro (con ogni conseguente sanzione penale o civile, oltre che gli obblighi risarcitori) laddove l’infortunio sia stato determinato causalmente dal mancato.  Nei casi più gravi, come infortuni mortali o condizioni degradanti/di sfruttamento, il datore addirittura rispondere penalmente di lesioni personali colpose o omicidio colposo, che, purtroppo, spesso si verificano nelle ipotesi di intermediazione illecita, pure soggetta a tutela penale (art. 603 bis c.p.).  Un ruolo rilevante è assunto dall’Ispettorato del Lavoro, i cui funzionari sono tenuti a verificare il rispetto della normativa in materia di orario lavoro e, in caso di illeciti, può comminare sanzioni, imporre prescrizioni e denunciare alla Procura eventuali fattispecie di reato.

Siamo esperti di diritto del lavoro. Se hai problemi di natura legale, possiamo aiutarti. Chiamaci senza impegno. 

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